Cari Precari
è passato un anno dall'approvazione della Carta di Firenze. Ricordo le discussioni, le polemiche -anche le ironie, i dubbi, i distinguo- che animavano le discussioni su cosa quel documento avrebbe comportato per il futuro della nostra categoria.
Ad un anno di distanza mi piacerebbe porvi una domanda, senza malizia e senza polemica. Pacatamente. Piano piano.
Ora che c'è, la Carta, perché continuate a far finta che non ci sia? Perché cioè, stante le condizioni infami di lavoro che denunciate in 'camera caritatis', poi, di fatto, nessuno (nessuno!) ha sentito in questi mesi l'esigenza,. non dico di denunciare (non sia mai che il padrone potrebbe arrabbiarsi...) ma almeno di stimolare, di sollecitare Ordine e Sindacato locale verso un'azione concreta sulle garanzie che la Carta fornisce.
Qualcuno, in quei giorni, ebbe modo di farmi notare che le carte deontologiche (ma l'Ordine solo quelle può fare...) sono come Carta igienica.
Bene, detto che anche la carta igienica ha la sua nobiltà (mi verrebbe da sottolineare che è anche utilissima, ma non vorrei sembrare capzioso), è evidente a tutti che una carta deontologica non ha nessun valore a meno che noi non gliene conferiamo qualcuno. Ovvero, non ha nessun valore se noi non decidiamo di usarla. Allora, e solo allora, diventa uno strumento cogente a tutti gli effetti; uno strumento che, per i comportamenti vietati, determina, qualora ne sia acclarata la colpevolezza, pene severe nei confronti di direttori caporedattori colleghi etc che 'lucrino' sulla precarietà altrui, o semplicemente facciano finta di non sapere.
Va da sè che editori, mascalzoni, crumiri, furbastri e tutta la lunga risma di tristi figuri con cui spesso abbiamo a che fare, abbiano, loro sì, tutto l'interesse a tenere la Carta nel cassetto.
Ma voi, noi?
Ma voi, noi?
A meno che le condizioni infami di lavoro in cui siamo costretti a vivere non siano una balla che ci raccontiamo per passare il tempo (ma allora meglio parlare d'altro) c'è qualcosa che non mi quadra.
Io dico che è arrivato il momento di dire: ora basta!
Cari amici e colleghi precari, so che molti di voi penseranno: sì, ma se rompo le scatole anche quella minima possibilità di collocarmi 'un domani' va a farsi benedire....
Bene, vi svelo un segreto: se si continua di questo passo, non ci sarà nessun domani. Per nessuno. O meglio, ci sarà un domani per pochissimi privilegiati residui e per una pletora di super-precarizzati de-professionalizzati e de-pressi che faticheranno, a pagarsi, non dico un mutuo che sarebbe un lusso anche perché da precario non te lo danno, ma il necessario per sopra-vvivere.
Cosa vi spinge a pensare che editori graziosamente abituati negli anni ad avere moltissimo (se non tutto) concedendo pochissimo (o nulla) si trasformino improvvisamente in filantropi amorosi?
La cruda verità, che gli anni trascorsi dovrebbero aver insegnato a tutti, è che laddove si pagava 10 oggi si paga 1 (di conseguenza dove si pagava 9 oggi non si paga nulla, ed anzi, come tutti sappiamo c'è oramai chi paga in proprio per lavorare...) e laddove si lavorava in 20 oggi si lavora in 2.
E' vero: c'è la crisi, le nuove tecnologie hanno cambiato mercato e professione...
Ma siete convinti che un impegno maggiore di tutti noi, del sindacato e dell'ordine non avrebbe potuto incidere sulla dinamica perversa che oggi ci porta a lavorare in penuria drammatica di diritti e denari?
Cari amici precari è per questo che dobbiamo dire basta. E dobbiamo dirlo ora. Perché, se non ci impegniamo in prima persona a cambiare le cose nessuno le cambierà per noi. E queste potranno solo peggiorare.
Noi ci siamo.
Voi?
DG