sabato 15 settembre 2012

I HAVE A DREAM


Voglio partire da questa immagine che ho sempre nella mente. Quella del gruppo di persone che sul palco di un teatro fiorentino chiedeva fiducia a tanti colleghi arrivati in città per una svolta vera nella professione giornalistica. Dignità, chiedevano questi colleghi, dignità volevamo per loro e per tutti noi. E’ nata così la carta di Firenze. E’ nata perché un giorno il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino ci ha concesso fiducia. E allora un gruppo di lavoro formato da consiglieri nazionali Odg Fabrizio Morviducci, Alessandro Mantovani, Paolo Tomassone, Massimiliano Saggese, Antonella Cardone e Cosimo Santimone, con due membri esterni, Domenico Guarino e Francesca Cantiani, e Susanna Bonfanti per la due giorni fiorentina, ha deciso di spezzare la logica delle correnti e lavorare per un obiettivo comune. Su quel palco si sono aggiunti altri colleghi di valore: Maria Giovanna Faiella, Ciro Pellegrino, Patrizia Tossi, Nicola Chiarini. Che hanno guidato i gruppi di lavoro nella nascita della Carta di Firenze. Con noi c’erano anche rappresentanti della Fnsi, Maurizio Bekar, Anna Bruno, Dario Fidora. Abbiamo anche con loro raggiunto un’intesa, nonostante il vertice del sindacato avversasse (non a parole ma nei fatti) ogni loro mossa, ogni nostra decisione.

Firenze è stata la nostra scalata all’Everest. Era un anno fa. La carta è stata approvata dall’assemblea e recepita così com’era dal Consiglio azionale dell’Ordine che l’ha approvata sancendone l’entrata in vigore. E da subito sono partiti i distinguo. Il più importante? Quello del sindacato  visto che il consiglio nazionale Fnsi ha approvato una carta ‘emendata’, che non rispetta la volontà dell’assemblea fiorentina. Dico questo per alimentare divisioni? No di certo. Rappresentare i fatti non alimenta divisioni, serve a formarsi un’idea.

Eccoli altri fatti. I cambiamenti nella professione hanno portato a un indebolimento radicale del ruolo del giornalista. E scelte scellerate, disinteresse, individualismi, hanno determinato la situazione odierna: precariato selvaggio, cottimo intellettuale, ‘brutalizzazioni’ del  contratto di lavoro anche per i garantiti. Questo è successo perché è passata un’idea proprietaria delle istituzioni di categoria, e perché si è pensato troppo spesso alle garanzie dei garantiti, curandosi poco di dare condizioni dignitose a chi per scelta ha puntato sulla libera professione o per costrizione vive nella precarietà. E ora la situazione è difficile: sempre di meno, sempre più ‘strozzati’ i colleghi nelle redazioni (molte non esistono più), sempre di meno i freelance che trovano compensi dignitosi, sempre di più i giornalisti precari sviliti nella dignità professionale, sfruttati e sottopagati.

Da Firenze dobbiamo partire. Da quella prima decisione unitaria di chi non vuole ‘appartenenze’ se non quella comune della ‘colleganza’. La testata d’angolo verso un comune sentire. La carta di Firenze rappresenta il primo vero momento di aggregazione da parte di giornalisti che vedono l’impegno negli organismi di categoria come un dovere morale e non come un mezzo per l’esercizio del potere.

Un movimento collettivo, nazionale, che deve trovare radicamento nelle regioni. Per far capire ai ‘presidenti a vita’, a tutti quelli che sono contemporaneamente presenti in tutti gli organismi di categoria e che in questi anni sono stati bravissimi a consolidare potere e clientele, che la musica è cambiata. Costerà fatica. E sicuramente qualche rapporto personale. Sicuramente assisteremo a ricatti ‘sul pane’. A chi ci sta provando da tempo è già successo. Succederà ancora. Ma abbiamo il dovere di provarci. Lo dobbiamo fare adesso, per non rimpiangerlo domani. Perché domani non ci siano le stesse logiche, le stesse divisioni ‘per testata’, gli stessi metodi. La stessa musica, magari suonata da orchestrali più giovani, selezionati con lo stesso metodo. 

Costerà fatica. E partecipazione. Perché l’idea è costruire un movimento di persone diverse con un obiettivo comune: restituire diritti e dignità alla nostra professione. Contrattualizzati, freelance, collaboratori, pensionati: nessuna distinzione di genere, tutti insieme perché siamo giornalisti. Veniamo da esperienze differenti, siamo stati programmati per essere individualisti nella quotidianità del lavoro. Era ed è un modo per tenerci lontani per impedirci di mettere in rete le esperienze, consolidare il potere di pochi e far prosperare gli editori. Pensiamo a un movimento vero, d’opinione, che si misura a livello locale e fa parte di una rete nazionale. Non un comitato elettorale che raccoglie firme e voti (gli stessi da sempre) solo per le elezioni. La parola d’ordine è DIGNITA’. Ce lo chiedono i nostri lettori, gli ascoltatori, i telespettatori. Ma prima di tutto ce lo chiedono le nostre coscienze. Ci proveremo tutti insieme se vorrete. Se riusciremo solo allora comincerà il lavoro. Se non ce la faremo torneremo alla nostra quotidianità, ma convinti che solo lottare per un obiettivo nobile è già una grande vittoria.

Fabrizio Morviducci 

Nessun commento:

Posta un commento