martedì 25 settembre 2012

PACATAMENTE: lettera aperta ai Precari (fiorentini e toscani, innanzitutto)


Cari Precari 

è passato un anno dall'approvazione della Carta di Firenze. Ricordo le discussioni, le polemiche -anche le ironie, i dubbi, i distinguo- che animavano le discussioni su cosa quel documento avrebbe comportato per il futuro della nostra categoria.
Ad un anno di distanza mi piacerebbe porvi una domanda, senza malizia e senza polemica. Pacatamente. Piano piano.
Ora che c'è, la Carta, perché continuate a far finta che non ci sia? Perché cioè, stante le condizioni infami di lavoro che denunciate in 'camera caritatis', poi, di fatto, nessuno (nessuno!) ha sentito in questi mesi l'esigenza,. non dico di denunciare (non sia mai che  il padrone potrebbe arrabbiarsi...) ma almeno  di stimolare, di sollecitare Ordine e Sindacato locale verso un'azione concreta sulle garanzie che la Carta fornisce.

Qualcuno, in quei giorni, ebbe modo di farmi notare che le carte deontologiche (ma l'Ordine solo quelle può fare...) sono come Carta igienica. 
Bene,  detto che anche la carta igienica ha la sua nobiltà (mi verrebbe da sottolineare che è anche utilissima, ma non vorrei sembrare capzioso), è evidente a tutti che una carta deontologica non ha nessun valore a meno che noi non gliene conferiamo qualcuno. Ovvero, non ha nessun valore se noi non decidiamo di usarla. Allora, e solo allora, diventa uno strumento cogente a tutti gli effetti; uno strumento che, per i comportamenti vietati, determina, qualora ne sia acclarata la colpevolezza, pene severe nei confronti di direttori caporedattori colleghi etc che 'lucrino' sulla precarietà altrui, o semplicemente facciano finta di non sapere.
Va da sè che editori, mascalzoni, crumiri, furbastri e tutta la lunga risma di tristi figuri con cui spesso abbiamo a che fare, abbiano, loro sì,  tutto l'interesse a tenere la Carta nel cassetto.
Ma voi, noi?
A meno che le condizioni infami di lavoro in cui siamo costretti a vivere non siano una balla che ci raccontiamo per passare il tempo (ma allora meglio parlare d'altro) c'è qualcosa che non mi quadra.
Io dico che è arrivato il momento di dire: ora basta!
Cari amici e colleghi precari, so che molti di voi penseranno: sì, ma se rompo le scatole anche quella minima  possibilità di collocarmi 'un domani' va a farsi benedire....
Bene, vi svelo un segreto: se si continua di questo passo, non ci sarà nessun domani. Per nessuno. O meglio, ci sarà un domani per pochissimi privilegiati residui e per una pletora di super-precarizzati de-professionalizzati e de-pressi che faticheranno,  a pagarsi, non dico  un mutuo che sarebbe un lusso anche perché da precario non te lo danno,  ma il necessario per sopra-vvivere.
Cosa vi spinge a pensare che editori graziosamente abituati negli anni ad avere moltissimo (se non tutto)  concedendo pochissimo (o nulla)  si trasformino improvvisamente in filantropi amorosi?
La cruda verità, che gli anni trascorsi dovrebbero aver insegnato a tutti, è che laddove si pagava 10 oggi si paga 1  (di conseguenza dove si pagava 9 oggi non si paga nulla, ed anzi, come tutti sappiamo c'è oramai chi paga in proprio per lavorare...) e laddove si lavorava in 20 oggi si lavora in 2.
E' vero: c'è la crisi, le nuove tecnologie hanno cambiato mercato e professione...
Ma siete convinti che un impegno maggiore di tutti noi, del sindacato e dell'ordine non avrebbe potuto incidere sulla dinamica perversa che oggi ci porta a lavorare in penuria drammatica  di diritti e denari? 

Cari amici precari  è per questo che dobbiamo dire basta. E dobbiamo dirlo ora. Perché, se non ci impegniamo in prima persona a cambiare le cose nessuno le cambierà per noi. E queste potranno solo peggiorare.

Noi ci siamo.
Voi?
DG

2 commenti:

  1. Caro Domenico,
    la tua lettera contiene molte verità e la tua analisi è assai lucida: fare come gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia non ci garantisce alcun futuro. Anzi, finirebbe per farci scivolare in una posizione ancora peggiore di quella attuale. Del resto, se noi fiorentini e pratesi ci siamo ritrovati in un gruppo, abbiamo organizzato un coordinamento, abbiamo speso serate e serate per confrontare i nostri problemi, se abbiamo partecipato a manifestazioni, abbiamo organizzato presidi, l'abbiamo fatto perché volevamo alzare la testa. E ora la nostra posizione non è cambiata.
    Ti ricordi, un anno fa abbiamo partecipato con entusiasmo alla formulazione della Carta di Firenze e abbiamo applaudito alla sua approvazione. E' stato un momento di grande entusiasmo, e non abbiamo mai fatto mistero della riconoscenza nei confronti tuoi, di Fabrizio, di Enzo e di tutti gli altri che in prima persona si sono spesi per portare avanti questo progetto.
    Ma siete stati voi i primi ad ammonirci che la Carta di Firenze, senza la "pezza d'appoggio" della legge sull'Equo Compenso, è ancora difficilmente applicabile. Non voglio ridimensionare l'importanza, anche storica, di quel passaggio; ma si tratta di due componenti essenziali di uno stesso problema, senza una delle quali l'altra rischia di restare inapplicata. Per questo apprezziamo tutti lo sforzo che Enzo sta facendo a Roma per spingere il Parlamento a legiferare, finalmente, sulla materia.
    Per quel che mi riguarda (e, sia chiaro, scrivo a titolo personale) certi personaggi da vetrata medievale sarei il primo a volerli rimandare a casa. E nemmeno con troppi riguardi. Non li meritano. Ricordo, ad esempio, che durante un'assemblea dell'Odg toscano, in cui si affrontò il tema della crisi del Corriere di Firenze davanti a almeno duecento giornalisti, chiesi il perché di tanto immobilismo. "Noi abbiamo le mani legate" mi fu risposto. Al che io ricordai l'esistenza della Carta di Firenze. La reazione fu tra l'ilare e lo stupito, come se avessi parlato di qualche alchimia stregonesca. Davanti a tanti colleghi inviperiti, la figuraccia (loro, non mia) fu inequivocabile.
    Personalmente credo nella necessità di fare di tutto per dare un cambio di rotta a questo sistema. Però, Domenico, ti parlo con estremo candore e senza lasciare cose dette a metà (non è il mio stile), il tempismo del tuo intervento mi lascia alcuni dubbi. Non vorrei che fosse legato a una recente decisione dei precari fiorentini e toscani di disimpegnarsi da questioni elettorali. Quella scelta non è frutto di ignavia. E' la scelta strategica di un gruppo che vuole restare uno spazio, al di fuori di ogni tipo di corrente, in cui il precario possa parlare apertamente senza il rischio che le sue parole possano essere interpretate "politicamente" a favore degli uni o degli altri. Quel gruppo ha deciso di fare un passo indietro, ma di svolgere una funzione altrettanto fondamentale rispetto alla vostra, ovvero quella di essere un cerchio protetto entro il quale raccogliere i problemi, analizzarli, organizzarli ed esprimerli. Non c'è disimpegno, figurarsi ostilità, è solo un livello d'azione diverso.
    Per questo nulla toglie che alcuni di noi, molti di noi o addirittura tutti quanti possano fare delle scelte "politiche" impegnative e coraggiose; ma fuori dal cappello del gruppo. E per la stessa ragione (anche questo, come tutto il resto, lo dico a titolo assolutamente personale) non è gradevole, nel gruppo, trovarsi di fronte a persone che sembrano più i portavoce di qualcuno esterno anziché delle proprie convinzioni. A volte, basta alzare il telefono, chiarirsi, dirsele chiare e tonde e magari scoprire che chi, per proteggere la propria peculiarità, non vuole invasioni di campo, può essere il tuo miglior alleato... Se uno non invita nessuno a casa sua, non significa necessariamente che rifiuterà un invito a casa d'altri.
    Con affetto,
    Giulio

    RispondiElimina
  2. Caro Giulio

    la dietrologia uccide le migliori intenzioni...la seconda parte del tuo commento l'ho riletta sette volte e ti giuro che ancora non l'ho capita...parli di cose che non so. Io sono abituato a muovermi sulla base di convinzioni precise non di equilibrismi (e quali?) tattici o convenienze elettorali. Io parlo alle persone, non ai gruppi. Caro Giulio,sai che ti stimo:non fare come quello che indicatagli la linea,preferi' guardare il dito. E' la garanzia che nulla cambi!

    RispondiElimina