mercoledì 3 ottobre 2012

INSIEME! lettera aperta ai colleghi contrattualizzati


Ya basta nasce  per tentare un'operazione ambiziosa, ovvero unire precari, free lance orgogliosi di esserlo, contrattualizzati vari (FNSI, FRTI, AERANTI-Corallo), cocopro, partite iva etc. etc.,  intorno ad alcuni concetti basilari: dignità, diritti, equità, giustizia. Principi semplici che hanno nella Costituzione, inannzitutto, e dunque   nelle leggi,  i presupposti fondamentali, ma che vanno fatti vivere nella concretezza delle scelte e delle azioni quotidiane, pena la loro sterilizzazione progressiva.
Ho cominciato a parlarne scrivendo una lettera ai precari fiorentini che ha suscitato un vasto interesse ed un ampio dibattito. Ritengo sia stato un buon segno: significa che le obnubilazioni della contemporaneità non ci hanno resi del tutto abulici.
E' per questo che oggi voglio scrivere una lettera aperta anche ai  colleghi contrattualizzati: semplicemente per chiedere loro di schierarsi. Apertamente!

Non è pensabile infatti (e lo spirito della Carta di Firenze nasce proprio da questa considerazione, che a sua volta deriva dal primo dovere del giornalista -insieme con quello di cronaca e critica-, cioè la solidarietà nei confronti dei colleghi) che si continui a far finta di nulla. 
Non è possibile che nessuno nelle redazioni, fuori dalle redazioni, negli uffici stampa/comiunicazione pubblici e/o privati, magari proprio perché protetto e garantito dallo stipendio e dal contratto,  non veda  quanta parte di quello che CI è permesso deriva dal fatto che la 'baracca' si regge oramai sulle spalle di decine, centinaia, di colleghi sottopagati e sfruttati. Senza i quali il sistema dell'editoria italiana sarebbe da anni andato a scatafascio, i  giornali non uscirebbero, le radio non trasmetterebbero e nemmeno le TV; i siti web sarebbero morti, altro che 'just in time'...

Cari colleghi contrattualizzati, va detto una volta per tutte: non è più possibile andare avanti come se nulla fosse. Come se quello stipendio di cui godiamo e le garanzie che ci fanno forti, non fossero oggi più che mai costruite anche sulle spalle di colleghi meno fortunati di noi, verso i quali abbiamo dunque inannzitutto un debito di riconoscenza.
Mi chiedo e vi chiedo: come si  fa a restare indifferenti rispetto a questo? Nei fatti, intendo, non nelle belle intenzioni espresse nei convegni e nelle mozioni di categoria. Cosa aspettiamo dunque dunque a ribellarci di fronte a questo andazzo, cominciando a denunciare chi va denunciato? 

Come si fa a rimanere impassibili di fronte al fatto che, accanto ad un nostro  articolo, servizio, take etc. ne venga pubblicato un altro il cui autore, quando va bene, viene pagato (se viene pagato) un decimo rispetto a noi? Con contratti capestro o peggio.
E come si fa a non capire che questo meccanismo, rispetto al quale  rimaniamo per lo più indifferenti, sta rendendo il mondo del lavoro un campo di battaglia dove i simili si scannano tra di loro.
La storia recente dell'editoria -delle sue condizioni concrete-  dimostra come, l'aver mostrato disinteresse (o peggio, l'aver avallato...) la precarizzazione di massa di intere generazioni e settori del nostro lavoro, abbia prodotto e continui ad alimentare un sistema in cui le garanzie e i diritti sono in pericolo per tutti. Contrattualizzati e non, garantiti e non.
Sembriamo non capire che di fatto siamo  tutti cooperanti con gli editori nella costruzione un futuro del tutto simile a una giungla a-contrattuale e a-morale, in cui affogheremo tutti. E prima di noi, la nostra dignità professionale, la possibilità di fare un giornalismo degno di questo nome.


E allora, cari colleghi contrattualizzati, se non per loro - ovvero, per i precari-, se non per i vostri figli o nipoti che subiranno le conseguenze della nostra apatia, facciamolo  per noi  stessi:  per evitare cioé che l'onda lunga ci travolga tutti, che il ricatto del 'fuori è peggio' non diventi anche per noi (come sempre più spesso accade già oggi)  la mannaia quotidiana sotto la cui minaccia cedere diritti. 
E' per questo che vi chiediamo un gesto di dignità di coraggio e, perchè no, di bellezza -termine che dei questi tempi va molto di moda-.
Scendiamo dunque  dal nostro piedistallo (sempre più malfermo, per altro..) e lavoriamo per un fronte comune che, nella promozione dei diritti di tutti e della dignità di ciascuno, serva davvero al futuro della nostra professione. E, se proprio l'idealismo non ci piace,  almeno  al vostro/nostro  piccolo, ma importantissimo futuro individuale.,

Noi di ya basta non ci sentiamo a nostro agio in  un mondo in cui un manipolo di privilegiati banchetta allegramente sullo sfruttamento di migliaia di colleghi . A questo non ci vogliamo arrendere.
E voi?

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